martedì 4 settembre 2012

Lo strumento della kafala, forma di affido legale nei paesi islamici. Ma il minore non gode degli stessi diritti del figlio naturale

Di seguito la versione integrale dell'intervista rilasciata al quotidiano Avvenire dal prof. Agostino Cilardo e pubblicata il 30 agosto 2012 nella versione ridotta che trovate qui.

L’istituto della kafala, nel mondo islamico, si basa sulla Sura 33:4-5 ed è suggellato grazie all’esempio che Maometto ne diede nella vita. Le chiedo, professore, di tracciare una breve spiegazione dei fondamenti coranici della kafala e di spiegare perché, per un certo periodo di tempo, la giurisprudenza islamica ha discusso sulla liceità o meno (haram/halal) di questo istituto.

La Sura 33:4-5 riguarda l’abolizione dell’istituto dell’adozione, che esisteva invece in età pre-islamica. Da allora in poi il diritto islamico ha conservato tale divieto che viene ribadito anche nelle legislazioni contemporanee dei Paesi islamici, tranne la Tunisia. L’istituto giuridico della kafala non ha alcuna base coranica e non esiste in diritto islamico, ma ha origini molto recenti, introdotto da leggi in Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco. In diritto islamico il termine kafala significa “fideiussione” e riguarda l’ambito economico. Esso ha acquisito in epoca contemporanea un senso traslato in riferimento alle misure di tutela dei minori, e costituisce oggi lo strumento principale di protezione dell’infanzia in alcuni Paesi islamici. La kafala si può paragonare all’affido, anche se non vi è completa corrispondenza tra i due istituti. Nella maggior parte delle legislazioni contemporanee la kafala è disposta con procedura giudiziaria, oppure con previo accordo tra affidanti e affidatari, sancito da un giudice. È prevista, inoltre, la vigilanza del giudice tutelare.

Sintetizzando brutalmente, i punti in cui la kafala si differenzia dall’adozione europea mi sembra siano tre: la ricezione del cognome del padre adottivo al posto del cognome del padre naturale; l’equiparazione dei diritti economici dell’adottato a quelli dei figli naturali; la convivenza (e dunque la promiscuità) tra figli di sangue e figli adottati. Le chiederei, anche qui, di  spiegare perché la kafala ha soluzioni così diverse rispetto al sistema europeo. Mi piacerebbe che le persone che hanno scarsa dimestichezza con il mondo islamico comprendessero appieno le ragioni e le preoccupazioni che questo istituto pone e il percorso che ha portato i giuristi islamici ad abbracciare queste soluzioni.

Chi si assume l’onere della tutela del minore si obbliga a provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione ed alla sua protezione, fino alla maggiore età, ma non può dargli il proprio nome né nasce vocazione ereditaria tra i due, in quanto non vengono meno i rapporti tra il minore e la famiglia d’origine. Di conseguenza il minore dato in affido non può essere equiparato ai figli naturali, anche se ha diritto ad essere educato ed allevato allo stesso modo. Il diritto islamico contiene numerose norme di tutela del minore, a cominciare dal concepimento fino al raggiungimento della pubertà, che riguardano l’ambito familiare e sociale. Tuttavia, la particolare forma di “tutela sociale” della kafala crea una maggiore garanzia per il minore, soprattutto se abbandonato.

Dal momento che il vincolo giuridico derivante dall’adozione è stato proibito nel Corano, ai fini dell’attribuzione di paternità il diritto islamico è particolarmente severo, fissando regole rigide allo scopo di stabilire una linea genealogia certa. Per il diritto islamico, infatti, i rapporti leciti possono avvenire solo tra i legittimi coniugi, mentre la filiazione legittima deriva solo dalla presunzione di diritto di un matrimonio rato e consumato. Questo rileva per tutta una serie di diritti che il nascituro acquisisce in riferimento al padre, non ultimo il diritto di ereditare da lui. Solo un figlio legittimo appartiene alla famiglia paterna, acquisisce il nome del padre e segue la sua religione finché è minore. Tuttavia, il diritto islamico dà rilevanza all’istituto del riconoscimento di paternità di un minore di paternità ignota e la cui età è tale da potersi ragionevolmente presumere essere suo figlio. In questo caso, la persona riconosciuta è considerata parente di sangue di chi lo riconosce.

Perché la kafala è stata riconosciuta internazionalmente così tardi (nel 1989) e  solo nella Convenzione dei diritti del fanciullo?

L’interesse superiore del fanciullo ha fatto prendere coscienza alle istituzioni internazionali che i minori musulmani non godevano delle stesse garanzie dei minori per i quali non vige la proibizione dell’adozione. La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo (20 novembre 1989, risoluzione 44/25; ratificata in Italia con l. 176 del 27 maggio 1991, ed entrata in vigore il 5 ottobre 1991), all’art. 20, stabilisce che “Ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto a una protezione sostitutiva, in conformità con la loro [degli Stati] legislazione nazionale”, tra cui vi è la kafala (erroneamente definita “di diritto islamico”). In particolare, l’articolo 20 sottolinea che il tipo di protezione deve essere scelto tenendo conto “della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica”. Anche la successiva Convenzione dell’Aja “Sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori” (19 dicembre 1996), tra le misure di protezione del minore, annovera “la sua assistenza legale tramite kafala o istituto analogo”.

In Algeria è scoppiato un caso intorno ad alcune ong di stampo cristiano-evangelico accusate dalle autorità religiose algerine di favorire le adozioni internazionali per consentire il traffico di organi dei minori. Da parte delle ong, l’esca per spingere i giovani algerini alla conversione al cristianesimo sarebbe stata la possibilità di potersi avvantaggiare dell’istituto europeo dell’adozione, che consente agli adottati pari diritti ereditari rispetto ai figli naturali. Questo è un episodio che ha destato scalpore e che ha dei contorni polemici. Tuttavia, credo che metta a fuoco un problema: soprattutto nel caso di adozioni internazionali, come ridurre le inconciliabilità tra la kafala e l’adozione di stampo europeo?

Il discorso sulla kafala e sull’adozione (Tunisia) è circoscritto ad un ambito esclusivamente islamico. Il titolare della kafala, infatti, non può essere un non musulmano. Al contrario, l’istituto dell’adozione, nel contesto occidentale, non prende in considerazione la religione dell’adottante e dell’adottato. E' dunque probabile che qualche ong utilizzi lo strumento dell’adozione internazionale per inserire minori musulmani in un ambiente culturale alquanto diverso. Le incompatibilità tra l’istituto dell’adozione e l’istituto della kafala restano, in quanto essi partono da presupposti culturali diversi.

Veniamo al punto più delicato. La migrazione di cittadini arabi di religione islamica in Occidente necessita anche una revisione di alcune misure legate al ricongiungimento familiare. La sentenza della Cassazione n. 19734 del 17 luglio 2008 aveva affrontato il problema suggerendo una via per casi come questo. So che lei conosce la sentenza (ho comunque il testo in mio possesso). Può commentarla? 

Una delle questioni più controverse riguarda il riconoscimento della efficacia di una sentenza di kafala nell’ordinamento interno italiano, vista l’impossibilità di pronunciare l’efficacia di un provvedimento che non ha corrispondente nel diritto nazionale.
È innanzitutto da escludere una equiparazione della kafala all’adozione. Pertanto un provvedimento di kafala emesso in un Paese islamico non può essere dichiarato efficace in Italia sulla base della disciplina riguardante l’adozione. Bisogna, invece, far ricorso alla normativa internazionale, in particolare alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo e alla Convenzione dell’Aja (1996).
La Corte di Cassazione si è pronunciata varie volte su casi riguardanti minori musulmani. Già con sentenza n. 7472 del 20 marzo 2008, la Cassazione stabiliva che la kafala crea un legame tale da giustificare il ricongiungimento, dando quindi diritto a riunire il minore alla sua nuova famiglia, e può fungere da presupposto per il ricongiungimento familiare del minore in Italia. Le stesse argomentazioni e le stesse conclusioni della sentenza n. 7472 sono nelle sentenze della Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, n. 18174 (2 luglio 2008), e n. 19734 (17 luglio 2008). Sia sulla base delle Convenzioni internazionali, sia sulla base dell’orientamento ormai costante della giurisprudenza, sarebbe necessario un provvedimento legislativo che equipari la kafala all’affidamento ai soli fini del ricongiungimento familiare, mentre ai cittadini italiani, anche se musulmani, deve essere esclusivamente applicata la legge italiana.

Perché, nei casi di migrazione, le preoccupazioni che le autorità occidentali paventano sono lo stato di abbandono di minore  e/o i matrimoni forzati?

Il minore rappresenta la parte più debole e indifesa della società. È ovvio che lo Stato debba mettere in essere tutti i mezzi per proteggerli. Nel caso della migrazione di minori di qualsiasi religione, il pericolo maggiore è costituito dallo sfruttamento di qualsiasi tipo e, per le ragazze, da un matrimonio precoce imposto. Bisogna distinguere, tuttavia, tra i minori accompagnati e minori abbandonati, una distinzione molto netta che si trova nella legislazione marocchina. I primi godono delle garanzie di tutela assicurate dal loro nucleo familiare, mentre i secondi sono oggetto di particolare protezione da parte dello Stato, anche attraverso l’istituto della kafala. Sono i minori abbandonati che anche in Italia meritano attenzione; essi  devono essere inseriti all’interno delle istituzioni educative italiane e seguiti fino alla loro maggiore età.

Il Parlamento Europeo ha istituito delle Commissioni ad hoc per affrontare il problema. Secondo lei è una soluzione ragionevole, quella di sviluppare una procedura europea in materia?

La problematica che il Parlamento Europeo deve affrontare riguarda il riconoscimento della efficacia interna agli Stati membri di una sentenza di kafala emessa in un Paese islamico dotato di una legge in materia. Sarebbe invece impossibile ipotizzare la proposta di una legislazione europea in materia di kafala, per definizione valida per i soli musulmani, in quanto questa soluzione urterebbe contro principi fondamentali degli ordinamenti occidentali, quali l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e la non discriminazione su base religiosa.

Laura Silvia Battaglia


Per saperne di più


Agostino Cilardo (a cura di), La tutela dei minori di cultura islamica nell’area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo, Dipartimento di Studi e Ricerche su Africa e Paesi Arabi, Napoli, 28-29 ottobre 2009), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2011

Agostino Cilardo, “Il minore nel diritto islamico. Il nuovo istituto della kafala”, in Atti del Convegno sul tema: La tutela dei minori di cultura islamica nell’area mediterranea. Aspetti sociali, giuridici e medici (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo, Dipartimento di Studi e Ricerche su Africa e Paesi Arabi, Napoli, 28-29 ottobre 2009), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2011, pp. 219-263

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